[vc_row full_screen_section_height=”no”][vc_column][vc_column_text]Negli ultimi dieci anni il mondo del vino ha subito grandi, se non enormi, cambiamenti. Sono cambiate le zone vinicole – con tanto di maison di Champagne che investono nel sud del Regno Unito – sono cambiate le tecniche vinicole – i vini iper-barricati sono oggi per fortuna solo un ricordo – ma anche i gusti, con prodotti corposi che hanno lasciato il posto a vini più snelli, e a cambiare, infine, sono stati anche i canali di commercializzazione, il modo in cui il vino arriva dal produttore al consumatore.
Se infatti un decennio fa a fare la parte del leone era la GDO, grande distribuzione organizzata –seppure con prodotti diversi quali, ad esempio, la bag in box a fronte del biologico e dello spumante che trovano sugli scaffali odierni ampio spazio, come testimoniano i dati Iri presentati a Vinitaly – oggi la tecnologia ha portato ad una crescita lenta ma costante del canale online.
Tuttavia, questo canale presenta importanti differenze da Paese a Paese.
Iniziamo con l’Italia.
Quanto funzione l’e-commerce nel Belpaese?
Poco, a quanto emerge dalle statistiche.
Se le spese di apertura di un sito e-commerce sono contenute, non altrettanto lo sono gli investimenti necessari, tanto che il 90% dei siti e-commerce non genera utile e quelli che lo generano hanno un tasso di conversione estremamente contenuto, che va dall’1% al 3%.
Stando ad una ricerca del 2015 di Tannico.it, il più grande sito di vendita online d’Italia, le vendite online di vino nel Belpaese sono minime: si parla di un tasso dello 0.2% sulle vendite totali di vino – un decimo rispetto alla media mondiale che si aggira sull’1.8% e assai inferiori rispetto alla media europea che vede la Germania al 2.3%, la Francia al 5.8% e il Regno Unito al 6.8%.
Un trend che in questo biennio non sembra essere cambiato, come conferma una ricerca condotta da FleishmanHillard ( qui il link ) che ha indagato la presenza online delle prime 32 aziende vinicole italiane per fatturato.
È emerso che solo 3 su 32 fanno uso di un proprio canale di e-commerce.
Un mercato ancora inesplorato ma di grandi potenzialità che, secondo una recente analisi di Economy Up (qui il link ) vale ben 10 miliardi di euro in Italia e 250 nel mondo.
Perché allora il canale e-commerce non decolla?
In primis, va tenuto in considerazione il fatto che l’Italia è un paese di telefonini più che di pc fissi e banda larga, quindi la crescita potenziale dell’e-commerce deve partire innanzitutto da un adattamento e un design mobile-friendly che renda l’ordinazione online agile e comoda anche dallo smartphone.
Secondo fattore va certamente ricondotto alla capillarità di produttori su suolo nazionale; dall’indagine presentata da Tannico all’ultimo Vinitaly, su un panel di consumatori pari a 50mila consumatori – il più ampio sinora utilizzato – a vincere sono i grandi marchi.
Un recente studio realizzato da Wine Nomisma assieme all’enoteca online Vino75.com ha indagato prezzo medio e profilo dell’acquirente.
Dai dati emerge che il prezzo medio, iva inclusa, si situi attorno ai 13 euro superando però i 14 qualora si tratti di rossi fermi e spumanti.
Quanto alle abitudini degli acquirenti, si scopre che la fascia dei Millennials compri bottiglie più costose rispetto alla fascia di età 36-55 anni e a quella 56-66.
Per un rosso il Millennial spende, infatti, sui 16 euro, una cifra che viene persino superata qualora compri delle bollicine.
All’estremo opposto dell’Italia si situa invece la Cina, dove il canale online totalizza il 27% delle vendite.
Proprio dalla Cina sono arrivate e arrivano le grandi proposte di collaborazione per la vendita del vino italiano: da Jack Ma, capo di Alibaba, al gigante della distribuzione O2O (Online to Offline) che ha recentemente stretto una collaborazione con Vinitaly.
( qui il link )
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