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L’importanza della Qualità

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Qualità nel mondo Alimentare ed Enologico: quale qualità?

Qualità è fra le parole più usate (e abusate) di oggi; se fa un gran parlare, in altri campi come in quello enologico, tuttavia pochi sanno davvero cosa significhi “produrla” e, di conseguenza, darle il giusto peso.

La Qualità è definita rispetto alla capacità di un dato bene o servizio di soddisfare i bisogni, espressi o latenti, dei consumatori e/o dei clienti.
Talora il termine viene usato, in modo improprio, per esprimere concetti più vicini al gusto ed alla tradizione dell’immaginario collettivo, perdendo talora di vista i veri valori su cui essa si basa.
Si finisce così magari per favorire i contenuti nutrizionali e salutistici degli alimenti, tralasciando aspetti fondamentali come, ad esempio, la sicurezza sanitaria.

 

In questo contesto, la qualità del prodotto alimentare, richiesta dal consumatore, può essere “separata” in una serie di modalità, riassumibili come:

  1. Qualità “organolettica” (sensi): aspetto visivo, olfatto, sapore;
  2. Qualità “tipica” (storia): zona di produzione, prodotto agricolo, composizione, metodi di produzione, etc.; si tratta di elementi riconducibili all’origine del prodotto, che è possibile valorizzare, in termini di valore aggiunto, attraverso una chiara ed adeguata etichettatura.
  3. Qualità “industriale – commerciale” (servizio): preparazione, confezione, conservazione, consegna, etc.;
  4. Qualità come “salubrità” (salute): caratteristiche dietetiche e nutrizionali;
  5. Qualità “igienico-sanitaria” (sicurezza): igiene alimentare, assenza di sostanze nocive;
  6. Qualità “ecologica” (ambiente): ecosostenibilità ed impatto sull’ambiente.

Il Mondo enologico non fa eccezione a questa regola e anch’esso può essere ricondotto ai sei punti sopra citati; il marketing e la comunicazione mediatica fanno leva principalmente sui primi tre punti, contribuendo a creare nel consumatore un concetto di Qualità incompleto e distorto.


La qualità sensoriale
è data principalmente dalla capacità di creare un prodotto conforme ai gusti del consumatore, che sia capace di “incuriosirlo” e “conquistarlo”. Sebbene il gusto sia un concetto soggettivo, esso viene tuttavia influenzato in maniera notevole dall’ambito sociale in cui si vive, creando vere e proprie “mode” eno-gastronomiche che possono variare in funzione del mercato a cui ci si rapporta.

 


La qualità dal punto di vista storico
si lega principalmente alle tradizioni di un luogo e quindi alla capacità del produttore di creare un prodotto con caratteristiche organolettiche tipiche del territorio.
Alle esigenze di tipicità, tradizione, abitudine dei consumatori, il legislatore ha risposto con l’emanazione dei Regolamenti Comunitari in materia di prodotti a Denominazione di Origine Protetta (DOP), Indicazione Geografica Protetta (IGP), Specialità Tradizionale Garantita (STG) e, con riferimento ai vini, Vini di Qualità Prodotti in Regioni Determinate (in Italia DOC, DOCG e IGT, che oggi rientrano anch’essi tra le DOP e IGP dopo la modifica introdotta nella OCM vino dal Reg. Ce 479/2008).
Con l’introduzione dei prodotti DOP e IGP e delle produzioni da agricoltura biologica si sono creati dei “marchi di qualità” regolamentati, a cui il produttore accede per scelta volontaria, ma per i quali i criteri normativi di riferimento ed i procedimenti di valutazione della conformità/certificazione sono definiti da regole cogenti.
Tali certificazioni regolamentate vengono rilasciate da Organismi appositamente autorizzati dall’autorità competente.

 

Il servizio offerto al Cliente è un parametro molto importante dal punto di vista qualitativo. Sebbene non abbia un’influenza diretta sul prodotto, esso è tuttavia parte fondamentale del processo di progettazione e produzione, arrivando talvolta ad avere un peso maggior (nella percezione del cliente) del prodotto stesso – si pensi ad Amazon che della rapidità e monitoraggio della consegna ha fatto il suo punto di forza.

 

La salubrità di un prodotto alimentare è invece intrinseca al prodotto stesso.
È infatti la composizione stessa del prodotto che determina il suo effetto sulla salute, con conseguenze a livello nutrizionale (mangiare molti cibi grassi contribuisce all’obesità) e di benessere (mangiare frutta e verdura garantisce un apporto naturale di vitamine all’organismo). La qualità dal punto di vista della “salute” è un fattore molto spesso slegato dalle modalità di produzione del prodotto e dalle materie prime e, sebbene abbia un peso importante per quello che riguarda il benessere psico-fisico, è spesso condizionata da mode (il consumo di bibite gassate è in aumento, sebbene sia dimostrato che il loro eccessivo contenuto zuccherino sia un possibile fattore per l’obesità) e da filosofie nutrizionali dei singoli (una persona che segue un particolare regime nutrizionale, ad esempio vegano, reputa di maggior qualità determinati alimenti piuttosto che altri).

 

Il termine “sicurezza” in campo alimentare ha due diverse accezioni, che la lingua inglese identifica con due diverse parole: la “food security” e la “food safety”.
La “food security” identifica la sicurezza degli approvvigionamenti, ovvero la disponibilità di alimenti in quantità adeguata a soddisfare i bisogni basilari.
La “food safety” si riferisce alla assenza di possibili impatti negativi sulla salute dei consumatori.

 

La qualità igienico-sanitaria (sicurezza alimentare) è garantita dalla legislazione in materia e da un adeguato sistema di controlli.
Essa è oggi governata da una molteplicità di standard, nel cui ambito i principi HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Point) rivestono un ruolo di rilievo.
Alla richiesta, proveniente dal mercato, di tutela dell’ambiente e di sviluppo sostenibile è stata data una risposta con l’introduzione del sistema di produzione biologica, definito da apposito Regolamento Comunitario, e, in parte, anche con la produzione integrata (PI) definita, per ora, sulla base di disciplinari assai diversi nel contesto sia nazionale che europeo. Negli ultimi anni è aumentata inoltre l’attenzione, da parte delle aziende produttrici, alla sostenibilità dei processi produttivi (per aver minor impatto ambientale) ed al packaging dei prodotti (sempre più orientato alla filosofia del riciclaggio dei materiali).

A completamento e integrazione delle forme, più o meno dirette, di assicurazione della qualità dei prodotti agro-alimentari sopra citate, si sono affermate, sia pur in gradi diversi, anche forme indirette di assicurazione, rappresentate dalle Certificazione di Qualità.
La certificazione di qualità si rivolge all’esterno dell’impresa per testimoniare a terzi le caratteristiche del prodotto (certificazione di prodotto) o dei processi adottati per ottenerlo o dei sistemi produttivi (certificazione di sistema).
Si tratta, nelle parole della certificazione di conformità UNI CEI EN 45020, di un atto mediante il quale una terza parte indipendente dichiara che con ragionevole attendibilità un determinato prodotto, processo o servizio è conforme ad una specifica norma o ad altro documento normativo.
Il compito di certificare, quindi, spetta a organismi terzi, indipendenti e qualificati (a seconda dell’ambito), che verificano ed attestano la conformità del prodotto e/o del sistema di gestione, ai requisiti specificati in appositi documenti di riferimento.

Sono due le caratteristiche fondamentali della certificazione volontaria, sia essa di prodotto o di sistema:

trasparenza, cioè la visibilità dall’esterno delle procedure, dei criteri seguiti, dei rapporti esistenti fra i diversi operatori interessati, in modo che chiunque lo voglia possa esprimere un giudizio sulla capacità del sistema di fornire le garanzie richieste;

credibilità, cioè l’acquisizione ed il mantenimento nel tempo della fiducia dei destinatari delle certificazioni (che nel caso della certificazione di sistema sono principalmente i clienti, mentre nel caso della certificazione di prodotto sono gli stessi clienti ma soprattutto i consumatori), nella correttezza dell’applicazione delle procedure di controllo, nella efficacia delle stesse e nella lealtà di tutti gli operatori interessati rispetto alle promesse fatte.

Esistono diverse tipologie di Certificazione Volontarie, che prevedono la standardizzazione e la garanzia di alcuni aspetti o requisiti richiesti dalle compagnie operanti nella catena agro-alimentare (ISO, BRC, IFS, etc.).
Queste possiedono un riconoscimento a livello internazionale e sono presenti in tutte le nazioni, anche se con una differente intensità.
Inoltre, in esse si ritrovano le certificazioni che rispettano i requisiti di legge (raramente) o quelle che vanno oltre questi stessi (molto spesso):è proprio per questa caratteristica che le Certificazioni Volontarie fungono da garanzia negli scambi commerciali.

 

Per un’azienda, intraprendere il percorso della Certificazione Qualità significa però spesso andare incontro a difficoltà operative e a diversi problemi.
Ci si trova infatti spesso di fronte a problematiche quali:
“affollamento” dei controlli, con conseguente aumento dei costi e del carico burocratico per le aziende, ai quali spesso non corrisponde un’adeguata remunerazione del mercato;
confusione e scarsa comprensione da parte dei consumatori di tali prodotti (specie per la certificazione di sistema);
scarsa integrazione dei rapporti di filiera e schiacciamento dell’azienda agricola a monte e a valle dei suoi processi produttivi (fornitori, commercianti, aziende di trasformazione) per la sua debole forza contrattuale.

La Certificazione Qualità non è quindi riassumibile in uno “slogan” da utilizzare per incrementare le vendite, ma è a tutti gli effetti un percorso (più che un processo) nel quale l’Azienda crede fortemente, che deve essere vissuto quotidianamente e compreso da tutti i reparti, al fine di poter offrire al cliente un prodotto finale che esprima il concetto di Qualità a 360 gradi.

 

 

 

 

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