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Odi et amo dell’enologia italiana, il rosato rimane per il Bel Paese un mistero.
Osannato all’estero, guardato con diffidenza in Italia dove tuttavia ha una forte tradizione che risale al 1943.
Proprio in quell’anno il generale americano Charles Poletti, responsabile per il rifornimento degli alleati, chiese la spedizione di un notevole quantitativo di rosé italiano.
Nasce così il Five Roses della Leone de Castris, il primo rosato italiano che con il suo nome americano segna una via mai più smentita: il nemo propheta in patria.
L’italia è infatti il secondo paese esportatore per valore, dopo la Francia – i dati sono gli ultimi disponibili, risalenti al 2014 ed elaborati dal CIVP , il consiglio interprofessionale dei vini di Provenza, che monitora la situazione non solo nazionale ma anche mondiale dei rosati.
Il valore dell’export di rosati, sempre riferito al 2014, si aggira sull’1,5 miliardi di euro. Metà di questo valore è coperto dai primi due player:
la Francia (31%) e l’Italia (23%), seguite da Spagna (16%), Usa (14%) e Sud Africa (3%).
Il discorso cambia invece se si parla di volumi esportati, dove è la Spagna a primeggiare con il 39%, seguita da Italia e Francia (16% ognuna) e Usa (11%).
Quanto alla produzione, stimata sui 23,2 milioni di ettolitri, dopo la Francia si trova Spagna (19%), Usa (15%) e l’Italia (11%).
L’Italia perde invece posizione quando si parla di consumi.
La Francia rimane in testa (48%), seguita da Usa (13%) e Germania (8%), UK (6%) e Italia con solo il 5% dei consumi.
Perché il gran rifiuto del Bel Paese per i rosati?
Quando in Francia, un vino su tre è rosato e dove, nonostante la contrazione dei consumi, si stima i rosé continueranno tuttavia a crescere (dati Vinexpo-IWSR).
Il rosé piace così tanto che qualcuno s’inventa pure un ipotetico Prosecco Rosé pur di cavalcare l’onda usando i due termini più popolari del momento.
In Italia nel frattempo gli eventi legati ai rosé continuano a tener banco:
da Italia in Rosa sulla sponda bresciana del Lago di Garda, all’Anteprima Chiaretto fino al pugliese RosExpo – fermo invece per il momento il Concorso Enologico Nazionale dei Vini Rosati d’Italia, organizzato sempre dalla regione Puglia con il coinvolgimento di Assoenologi.
Il mondo dei rosati italiani è peraltro in evoluzione.
Già qualche anno fa il Bardolino Chiaretto aveva in parte modificato il proprio disciplinare, muovendo verso un’uniformità di colore che tanto comporta a livello di riconoscibilità da parte del consumatore.
Ora per denominazione si parla di cambiamenti ancora più netti, in grado di rendere il rosato un prodotto a sé, staccato anche a lievvo di nomenclatura dal Bardolino.
Nel frattempo, un grande cambiamento cromatico si sta registrano sulla scena non solo nazionale ma anche internazionale: si tratta dello spostamento verso un colore più scarico, simile a quello dei rosati di Provenza, la regione che per numeri e popolarità spopola sugli scaffali e sui banconi della mescita.
La Provenza ha letteralmente quadruplicato la sua produzione, raggiungendo gli attuali 160 milioni di bottiglie e detta legge tanto che si stanno schiarendo non solo i rosé del nord Italia ma pure in quelli del Sud e pure quelli della Francia stessa.
Si vedono così rosati pugliesi che invece della solita tonalità carica presentano un rosa lieve, che potrà sì piacere ma rischia di creare nel consumatore una certa perplessità.
La Provenza ha imposto anche lo stile dry, soprattutto sui mercati americani dove tale tipologia è cresciuta del 5% solo nel 2014 tanto che è stata differenziata, anche a livello commerciale, dai tradizionali “sweet blush wine” che nel medesimo periodo hanno registrato invece una contrazione simile a quella del White Zinfanedl, un rosato abboccato.
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