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Asti Secco e Canelli

[vc_row full_screen_section_height=”no”][vc_column][vc_column_text]Il Piemonte, terra di tradizione per eccellenza, ha di fatto mutato non poco, di recente, il proprio panorama vinicolo.

 

L’Asti Secco, da poco approvato e al centro di ferventi dibattiti per la sua assonanza col più noto spumante del momento, il Prosecco, può essere visto come l’emblema di questo cambiamento, nel caso presente viscerale.
Per anni, infatti, Asti e Moscato d’Asti sono stati sinonimi di spumante dolce, imprescindibile in ogni festeggiamento.
Una tendenza ormai surclassata dalla bollicina secca:
quante sono le pubblicità di Prosecco viste sui giornali per Natale e quante quelle dell’Asti o del Moscato?
Tuttavia, un recente rapporto Nomisma-Wine Monitor che indaga la presenza dei bianchi autoctoni nelle carte della ristorazione italiana presenti nelle guide, riscontra una tendenza antitetica: dalla ricerca emerge infatti che“onnipresente è infine il Moscato, nella maggioranza dei casi inteso nella sua interpretazione di vino dolce”.

 

In questi giorni però l’Asti e il Consorzio sono al centro dell’attenzione per altri motivi.
In primis,
per l’elezione del nuovo Presidente in merito al quale si sono registrati dei colpi di scena con l’ascesa fra i papabili di new entry quali Flavio Scagliola (per i dettagli rimando al puntuale articolo SaporidelPiemonte.net, qui: http://www.saporidelpiemonte.net/blog/elezioni-al-consorzio-dellasti-la-spuntano-i-dissidenti-di-scuola-ctm-che-sfruttano-liti-e-divisioni-della-parte-agricola-la-cia-accusa-nomi-vecchi-e-non-graditi-lindustria-res/ ).

 

In secundis,
per la proposta di un “Moscato di Canelli Docg” (da trasformare nel tempo in un “Canelli Docg”, al pari di quanto successo per il Cortese di Gavi, divenuto poi Gavi, o per il Dolcetto di Dogliani diventato Dogliani) avanzata da un gruppo di produttori nato circa 10 anni fa nell’omonima località.
Ad oggi Canelli è, infatti, riconosciuta come sottozona dell’Asti Docg e certamente la proposta di rafforzare il nome del territorio a fronte del vitigno/nome del vino permetterebbe una maggiore tutela a livello europeo e mondiale.

La proposta segue il percorso intrapreso a suo tempo dal Nizza Docg (e non è un caso visto che molte aziende producono sia Nizza che Moscato), entrato in commercio con tale nomenclatura dal 1° luglio 2016 e imbottigliata da 38 produttori. L’idea di valorizzare la produzione di Barbera a Nizza può essere letto all’interno di un percorso di promozione territoriale avvallato dal riconoscimento UNESCO e nello specifico, nella volontà di creare una piramide produttiva che vede il Piemonte Doc Barbera alla base e, a salire, Barbera D’Asti Classico e Superiore Docg e, infine, al vertice il Nizza Docg, con le sue 4 tipologie: Nizza, Nizza Vigna, Nizza Riserva, Nizza Vigna Riserva.

 

A livello di Barbaresco va segnalata la rinnovata volontà della famiglia Gaja di imbottigliare Costa Russi, Sorì Tildin e Sorì San Lorenzo come Barbaresco e non più con la denominazione Langhe che testimonia il favore che sta incontrando questa denominazione negli ultimi anni.

 

Per quanto riguarda il Barolo, i cambiamenti si riscontrano sono piuttosto a livello sociale, con la presenza crescente di investitori stranieri, esemplificabile con l’acquisizione da parte della Krause holding della storica cantina Vietti.

 

 

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