Comunicazione SI , Comunicazione NO ?
La risposta sembra da tempo assodata: “comunico, ergo sum”.
Un assioma diventato palese nell’era dei social, dove si assiste ad un’interazione sempre più osmotica fra vita virtuale e vita reale, come pure fra comunicazione e vendita fra privati – basti pensare all’introduzione di MarketPlace su Facebook.Gaja, col suo sito, dove su sfondo nero compaiono solo marchio bianco, indirizzo, numero di telefono e mail è appunto l’eccezione che conferma la regola.
Una regola che accomuna brand piccoli e grandi e a cui non si sottraggono né marchi commerciali né nomi di lusso.
Perché come riassume Massimo Lorenzi di Enio Ottaviani Wines: “la comunicazione non è una scelta opzionale e, se fatta bene, ripaga”.Massimo, che gestisce l’azienda di famiglia assieme al fratello Davide, è stato fra i primi in Italia a credere in un programma di comunicazione integrata rivolta al consumatore, con un blog dove raccontava le sue missioni di lavoro all’estero (www.enioottaviani.it). Una strategia che ha funzionato e che ha permesso all’azienda di guadagnarsi un pubblico di ben 11 mila followers su Facebook, aumentando il suo bacino d’utenza.La sua esperienza si allinea a quelle di Marilena Barbera di Cantine Barbera, Enrico Rivetto dell’Azienda Agricola Rivetto, Giampaolo Paglia di Poggio Argentiera, Luca Ferraro di Bele Casel – tutti esempi virtuosi riportati da Slawka G. Scarso nel suo Marketing del Vino.
A questi vanno aggiunti molti altri nomi, fra cui l’azienda Barberani di Orvieto che all’ultima edizione di Only Wine Festival – ad oggi fra le più interessanti manifestazioni enologiche – ha vinto il premio quale miglior comunicazione aziendale:
“per aver raccontato i loro 57 anni di storia in maniera chiara ed elegante. Diretta, immediata ed emozionale è la comunicazione di Barberani, veicolata anche attraverso uno dei siti web più interessanti”.
Un termine cruciale “emozionale”, che divide la comunicazione “vecchio stile” del vino con quella attuale, la quale tuttavia rimane ancora, per alcuni prodotti, ancorata ai vecchi canoni.
Come osserva infatti Reka Haros in unodegli articoli più letti di The Buyer, la comunicazione del vino rimane ancora didattica invece che emotiva.
Nelle 872 pagine pubblicitarie comparse su Wine Spectator fra il 2010 e il 2012 e analizzate dalla Haros, l’omologazione del messaggio era disarmante.
L’86% conteneva l’immagine di una bottiglia e il 66% includeva un riferimento geografico.
L’esito, puntualizza Haros, non è solo noioso, ma fallisce nel creare un qualsiasi tipo di emozione.
Un lay-out uguale per tutte le comunicazioni non riesce peraltro a rimanere impresso nella mente del lettore.
Haros si chiede perché ad oggi continuiamo a mettere la bottiglia al centro del messaggio pubblicitario invece che concentrarci sui consumatori, ponendo loro al centro della storia e quindi aumentando il loro grado di coinvolgimento.
L’altra domanda che si pone Haros è perché l’industria del vino sia ancora vincolata ad un approccio educativo e non proponga invece un approccio esperienziale.
Il terzo interrogativo che si pone Haros riguarda il prezzo: perché viene ancora utilizzato come elemento di promozione, nonostante sia fallace in partenza (qualsiasi altro prodotto può infatti operare un lancio al ribasso).
Queste le domande che Haros suggerisce per auto-valutare la comunicazione del proprio brand:
_ Cosa stai facendo per rendere il tuo brand indimenticabile per il tuo club di winelovers/i tuoi clienti?
_ Che problemi stai risolvendo per loro?
_ Quali sono le motivazioni per cui i clienti ti scelgono?
_ Ti prendi la briga di indagare suddette motivazioni?
_ Stai facendo sufficienti domande per capirlo?
_ Chi è l’eroe al centro della tua comunicazione?
_ Hai elaborato una linea di promozione efficace?
Domande che aiutano a capire se e quanto la comunicazione vada ricalibrata, nell’ordine di una maggiore efficacia.
Lo sanno bene le grandi aziende italiane che sempre di più puntano ad un’interazione diretta col consumatore, soprattutto nell’ottica dell’enoturismo, ancora sottovalutato nel Belpaese.
Nel 2017 la ricerca FleishmanHillard sulle prime 32 aziende vinicole per fatturato (dati Mediobanca) individuava Facebook come il social più usato, eInstagram quello a maggior crescita, mentre i temi più dibattuti erano vitigni autoctoni e sostenibilità.
Le prime tre posizioni includevano Frescobaldi, Antinori eMasi Agricola, seguite da Cavit, Mezzocorona, Banfi, Mionetto e Villa Sandi, Zonin e Santa Margherita.
E se nel caso di Antinorila costante promozione sui social deve aver influito sulle 300 mila visite in cantina registrate lo scorso anno, in altri casi il risultato è più lento ammonisce FleishmanHillard: “La velocità del ritorno sugli investimenti è legata alla maturità dei diversi mercati e alla capacità di fare sistema”.