[vc_row full_screen_section_height=”no”][vc_column][vc_column_text]Se un tempo la questione principale era sceglier fra un vino bianco o uno rosso,
ora la domanda è sempre più spesso:
“scegliere fra un vino tradizionale o uno biologico?”
Quello che fino a qualche anno fa era un fenomeno marginale, è cresciuto a passo così sostenuto da diventare un fenomeno mondiale di importanza non trascurabile, non solo a livello economico ma anche per la portata semantica che possiede.
I vini biologici e la loro versione più “estrema”, i vini naturali, devono infatti parte del loro successo al proporsi come vini che ambiscono ad accorciare la distanza uomo-natura, proponendosi come chiave d’accesso per un rapporto simbiotico con l’ambiente, di cui oggi si sente sempre di più il bisogno.
Non è un caso che essi vengano associati a termini quali “vitalità” e “distanza minima”, ma anche ad “eticità” e “fiducia”, come rileva Eric Asimov, penna enoica del New York Times :
https://www.nytimes.com/2016/11/23/dining/natural-raw-wine-fair.html?_r=1
Tralasciando per ora i vini naturali che meritano un discorso a parte, concentriamoci invece sui vini biologici e i dati relativi a superfici, mercati, consumo e profilo del consumatore, ma anche eventuali risvolti che per l’ambiente non risultano proprio positivi.
Iniziamo con una premessa:
cosa si intende per vino biologico?
Un prodotto controllato e certificato, che rispetta la regolamentazione europea in materia dove viene interdetto l’uso dei prodotti di sintesi ed erbicidi e si prevede un limite nell’uso dei solfiti inferiore rispetto a quello consentito per il vino convenzionale.
I dati presentati in occasione dell’ultimo Millésime Bio di Marsiglia:
https://www.millesime-bio.com/
il più grande evento del vino biologico al mondo, giunto alla decima edizione e con oltre 900 espositori, ritraggono un’Europa sempre più bio.
Nel 2015 la crescita si attestata sull’11,7% rispetto al 2014, toccando i 281 mila ettari, pari all’8% dell’intero vigneto europeo.
A fare da apri fila è la Spagna con il 90% del vigneto bio europeo, pari a 95.591 ettari (ovvero il 9% del vigneto nazionale) concentrato soprattutto nelle regioni della Castiglia-La Mancia, Murcia, Catalogna e Valencia. Seconda nazione europea per superficie è l’Italia, con 83.642 ettari (ossia il 10% della superficie vitata) concentrati soprattutto in Sicilia, Puglia e Toscana.
L’aumento in Italia è stato costante: tra il 2013 e il 2014 si registra un + 6,5 per cento che nel 2014 porta l’estensione degli ettari bio a 47mila unità, con oltre a 25mila ettari in fase di conversione (i dati per l’Italia sono fermi al 2014 e provengono da fonte SINAB).
Terza la Francia, con 68.565 ettari (9% delle superfici vitate), situati per lo più in Vaucluse, Gironda, Gard e Hérault. A cascata, anche se con uno stacco netto, Germania, Grecia, Austria, Bulgaria, Portogallo e Romania.
Il Vecchio Continente, nel complesso, rappresenta l’85% del vigneto biologico mondiale, seguito da Cina (6%) e Stati Uniti (5%).
I principali mercati, per valore, sono Francia, Germania, Stati Uniti, Italia, UK e Austria. Non è un caso che Vinitaly (e il suo senso per gli affari) abbia deciso già da qualche anno di dedicare ai vini biologici una sezione ad hoc, Vinitaly Bio, ma anche un’area come ViViT, oltre che il premio ad hoc Wines Without Walls, con quest’ultimo che apre ai vini senza solfiti o con un contenuto inferiore ai 40 mg/l.
I mercati di destinazione principale sono invece Germania, che già nel 2012 spendeva 198 milioni di euro in vino biologico, e che acquista principalmente da Spagna, Italia e Francia. Seguono gli USA le cui importazioni nel 2014 hanno toccato i 165.800 ettolitri, per una spesa di 121,3 milioni di dollari (pari al 2,5% dell’import totale), e poi Gran Bretagna dove il vino biologico rappresenta il 2% del mercato enoico.
E l’Asia?
Se in Giappone, dove la conoscenza del vino è mediamente alta rispetto al panorama asiatico, qualcosa si inizia a muovere e tre quarti del vino bio importato proviene dalla Francia, in Cina l’attrattiva per tale tipologia è ancora di là da venire.
Perché i consumatori cercano il vino biologico e sono disposti a pagare mediamente di più rispetto ad un vino “normale”?
Se lo è chiesto un’indagine svolta dallo studio Ipsos per ViniSudBio.
I fattori che emergono vanno dalla naturalità del prodotto e l’autenticità, per i consumatori tedeschi, fino alla salute e al rispetto ambientale per il pubblico italiano dove il 43% dei consumatori ritiene che i vini naturali siano di qualità superiore al vino convenzionale.
In Italia, sempre secondo la medesima indagine (leggi il documento .pdf dell’indagine Ipsos), risulta che il 16,8% degli Italiani abbia consumato almeno una volta vino bio nel 2015 (di contro ad una percentuale del 11,6 % nel 2014 e del 2 % nel 2013) e che il vino bio rappresenti circa il 2% del volume totale del vino consumato nel Belpaese.
La consumazione di vino bio in Italia è quasi autarchica, provenendo dal Belpaese ben il 99% di tale tipologia, e l’acquisto viene fatto, a differenza del vino tradizionale, direttamente dal produttore.
E se la tendenza biologica promette di crescere anche nei prossimi anni, con importanti benefici per l’economia e l’impiego locale, altrettanto ineludibile è la domanda che sorge spontanea:
quanto è ecosostenibile un vigneto mondiale coltivato interamente a rame e zolfo considerando che il rame è un metallo pesante che si accumula nel suolo anno dopo anno?
La questione, che passa spesso sotto silenzio, ha portato alle prime azioni concrete, con la progressiva sostituzione del rame con estratti vegetali e alghe marine.
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