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Vino Italiano: quali le prospettive di crescita. E come realizzarle. ( 2a parte )
Andrea Rea di Wine Lab Bocconi, sempre durante l’incontro di Firenze, ha puntualizzato :
“La qualità del prodotto e il prezzo sono leve insufficienti per posizionare il vino, che nel frattempo ha acquisito elevati valori simbolici. Basta pensare al prestigio del vino francese, ma anche al caso del Prosecco, diventato icona dell’aperitivo, del chill-out, della serata con gli amici. Ma si pensi anche al caso dei vini vulcanici– dove la componente del “sublime” (vulnerabilità dell’uomo di fronte alla Natura) e del “mistero”, ne parlava Cathy Huyghe nella newsletter di A Balanced Glass, giocano entrambi un ruolo importante – come pure alla differenza fra luxury wine e fine wine, con dinamiche completamente differenti. Crescono infatti i primi, la cui l’importanza si rivela peraltro cruciale nei mercati asiatici quali la Cina dove il vino è ad oggi ancora uno status symbol.
I nuovi consumatori in realtà, attraverso il vino, vogliono acquistare esperienze: conviviali, di scoperta, memorabili. Oggi nel vino esistono almeno tre distinti mercati e quindi tre diverse tipologie di esperienza:
-un mercato Trendylegato alle mode, un mercato Finemotivato dall’esperienza del territorio ed un mercato Icon che richiede prodotti di assoluto prestigio, più vicini al consumo di prodotti di lusso (che noi chiameremo Luxury Wine) ”.
Le ricerche sui luxury wine operate da Beverland hanno identificato quali fattori salienti per questa categoria: esclusività, alta riconoscibilità del brand, alta qualità e grande fedeltà da parte del cliente.
Studi recenti hanno distinto qualità intrinseche del vino e qualità estrinseche, con le prime confermabili sono a tappo stappato e le seconde cruciali per rafforzare il valore delle prime. Studi effettuati alla University of Western Australia da Stephen Jarrett e Wade Jarvis hanno sottolineato undici fattori pressoché costanti:
reputazione del brand, varietà di uva, prezzo, design dell’etichetta/packaging, regione di provenienza, premi, annata,
suggerimenti da parte di amici, il fatto che sia stato o meno assaggiato in precedenza, avvallo da parte dei critici/esperti in materia e
il fattore novità.
Uno scenario che offre all’Italia più di qualche asso nella manica per un forte posizionamento (si pensi alla miriade di vitigni autoctoni che giova a favore del fattore novità, limitato però da una produzione che rimane inevitabilmente ristretta, limitata a questa o quella singola area).
Da sottolineare la presenza fra questi fattori del parere di amici/conoscenti, che se la gioca con i riconoscimenti ufficiali e l’avvallo da parte dei critici/esperti in materia.
La reputazione del brand rimane un fattore chiave, spesso supportata anche da fattori come la cultura e l’eredità.
Due parole chiavi per l’Italia che manca però di una adeguata strumentazione per narrarlo, non tanto per quanto riguarda lo storytelling in azienda al momento della visita concreta ma sulla lunga distanza.
Si pensi a quante poche sono le aziende italiane con una forte presenza sui social e come manchi di fatto un marchio nazionale in grado di convogliare un immagine coerente dell’intera produzione nazionale.
Penso nello specifico a quanto il brand “Wine Australia” stia riuscendo a supportare dal punto di vista comunicativo la crescente presenza dei vini australiani sui mercati esteri, grazie ad uno spazio ad hoc dove trovare informazioni, news, foto, video –modalità sempre più popolare e con una efficacia crescente – il tutto in modalità user-friendly anche per smartphone.
A mancare sui social non sono tanto le singole realtà.
Qui figurano i grandi, da Allegrini ad Antinori – che nel 2017 ha toccato quota 300 mila visite, non un caso – da Masi a Banfi passando per Cavit e Gruppo Mezzocorona fino a Sandi e Gruppo Santamargherita (si veda per la classifica l’Area Studi Mediobanca) passando per le associazioni e i Consorzi (come la FIVI e Soave con rispettivamente 23 mila e 18 mila like su FB e ) e le singole aziende quali Ennio Ottaviani in Emilia Romagna con 11 mila “like” su Facebook.
A mancare è il coordinamento generale, un brand unico, efficace, in grado di dare coesione alla frammentazione italiana di Docg, Doc, Igt che troppo spesso finiscono per spaventare il consumatore.
“È proprio il segmento delle Dop ferme che rappresenta un altro punto critico dell’attuale quadro delle esportazioni italiane. Nel 2017, infatti, hanno perso il 3% a volume ed è già da qualche anno che questo ramo non offre i risultati sperati” ha rivelato Tiziana Sarnari di ISMEA.
Per chi volesse approfondire la ricerca, i suggerimenti di lettura includono:
– il progetto “Project Genome Home & Habits” della Constellation Wines US.
– la ricerca condotta per l’University of Western Australia a firma di Stephen Jarrett e Wade Jarvis
– gli studi di Beverland, nello specifico “Crafting Brand Authenticity: The Case of Luxury Wines”
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