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segue dal precedente articolo:
“Canada: amore e monopolio – 1/2“
Popolarità del vino italiano: i fattori chiave.
“La popolarità dei vini italiani è cresciuta in maniera significativa negli ultimi 5-8 anni – racconta Gurvinder – Amarone, Barolo, Brunello, SuperTuscan e Chianti sono conosciuti da anni ma nell’ultimo lustro l’interesse è maturato e si è diversificato, dirigendosi verso le varietà più rare e le autoctone. La crescita della categoria “vino italiano” è stata ben più intensa rispetto ad altre” rivela l’esperto.
Sono vari i fattori che incidono su questa crescente popolarità.
I primi in ordine temporale sono stati immigrazione e ristorazione che qui come in US o Germania hanno dato una forte spinta al consumo di vini italiani.
“Oltre all’immigrazione, l’altro fattore importante è il prezzo” spiega Wilton.
“Il Canada ha una presenza importante di immigrati (soprattutto dal Sud), che aiuta a spingere le vendite di vini meno conosciuti mentre il prezzo competitivo al fondo della scala e la crescente considerazione per l’apice dell’offerta qualitativa supportano la fetta più importante delle vendite e dei volumi“.
Il che sta permettendo di rafforzare il binomio ITAL-CAL (Italia e US, nello specifico California) a discapito della Francia.
A incidere, come individua Wilton, è anche la grande varietà di uve che l’Italia ha:
“mano a mano che i consumatori cercano di approfondire la conoscenza del mondo del vino, si spostano oltre gli internazionali francesi“. Ovviamente va fatta una distinzione, fra professionisti e consumatore comune: basti pensare che “qui in Canada la maggior parte della gente è venuta a conoscenza del Chianti nel film “Il Silenzio degli Innocenti” racconta Wilton.
Ma ci sono anche fattori più recenti, come l’enoturismo che oltre ad avere un effetto benefico immediato sulla località di destinazione con la consumazione in loco, ne ha anche uno a scoppio ritardato, per cui, una volta rientrati in patria, i turisti cercano quello che li ha piacevolmente impressionati durante il viaggio.
I dati sull’enoturismo sono del resto impressionanti: ricerche della World Food Travel Association provano che nle 2016 il 93% dei viaggiatori potevano essere considerati food travellers ovvero turisti che negli ultimi 12 mesi hanno partecipato ad eventi di degustazione enogastronomica che esula dai pasti”.
Il trend dell’enoturismo sta crescendo anche in Italia che rimane tuttavia lontana da un programma organico come quello approntato in Francia (leggi i ns post precedenti:
il-turismo-del-vino e enoturismo).
“In Canada il turismo culinario è in crescita. L’Italia è vista come una destinazione culturale e culinaria e come risultato le persone sono maggiormente attratte dalle cose italiane, incluso il vino” testimonia Gurvinder Bhatia. “Inoltre oggi sempre più la gente vuole capire da dove proviene il cibo che mangia e questo riguarda anche il vino che beve – il senso di appartenenza è importante come è importante avere una storia genuina, il che permette al consumatore di sentirsi connesso col produttore” spiega Bhatia.
Prospettive di crescita
Le possibilità maggiori di crescita del vino italiano in Canada riguadano per Wilton l’espansione dei produttori disponibili all’interno dei monopoli provinciali dove le regioni sono già ben rappresentate e poi, in seconda battuta, il rafforzamento delle varietà autoctone provenienti da quelle e altre regioni.
“Per esempio, sono poche le aziende che dominano il vino veneto in Ontario – esemplifica Wilton – quindi espandere l’offerta di produttori da quella regione significherebbe potenziare la conoscenza e aumentare le vendite. I monopoli provinciali sono il maggiore ostacolo ma le aziende possono espandere la propria presenza nel mercato lavorando direttamente con gli importatori, come già molti stanno facendo“.
Se è vero che i monopoli regionali come LCBO saranno sempre il maggiore ostacolo, tutttavia l’Italia non sta a guardare: “Piero Titone dell’ICE Trade Commission è uno degli ambasciatori più attivi in Ontario e sta facendo un lavoro superbo” testimonia Wilton. “Tuttavia, le fiere annuali tendono ad essere troppo grandi e trovo che le prensentazioni dei vari consorzi regionali siano in ultima analisi più efficaci visto che sono maggiormente focalizzate“. “La migliore strategia per i vini italiani a mio parere – prosegue Wilton – è duplice: da un lato, lavorare con i monopoli per quanto possibile, dall’altro aggirarli, lavorando direttamente con i consumatori, con l’aiuto dei professionisti canadesi, e regione per regione con i consorzi”
Per quanto riguarda il rafforzamento delle varietà autoctone,
Wilton esemplifica con la Sicilia: “I vini provenienti dalla Sicilia sono una categoria crescente ma dominata dal Nero d’Avola. Focalizzarsi su Grillo, Nerello Mascalese e altre varietà native aiuterebbe a rafforzare ulteriormente le vendite nella regione“.
Fra le regioni che stanno crescendo, oltre alla Sicila, ci sono Marche, Emilia Romagna (trainata dal Lambrusco), Campania, Puglia e, in genere, le regioni che il consumatore ha visitato durante i suoi viaggi.
La crescita della presenza italiana necessita però di una comunicazione adeguata.
Strategie di comunicazione
Per Bhatia, è assolutamente fondamentale che i produttori italiani imparino a condividere le loro storie, che siano orgogliosi della propria identità – e qui tornano alla mente le parole di Jancis Robinson a Wine to Wine 2016 – e sottolineare i fattori che rendono i loor vini unici.
A sottolineare la necessità di sapersi raccontare è anche Arlene Oliveros, fra le donne di rifermento della comunicazione enoica in Canada, che sottolinea la crucialità del veicolo culinario.
L’importanza della fruibilità comunicativa riguarda anche i siti, che devono essere disponibili nella versione in inglese, accativanti ed efficaci con informazioni rilevanti sul produttore, le varietà, le schede tecniche e consigli utili per il visitatore; “tutte cose che aiutano a demistificare il vino, a renderlo accessibile” sottolinea Bhatia.
“E’ inoltre necessario che i produttori si assicurino che i loro importatori conoscano bene la loro realtà e che essi stessi dedichino del tempo ad essere presenti in loco promuovendo il turismo verso l’Italia. L’obiettivo è che il consumatore arrivi a chiedere un certo vino e a quel punto il monopolio è costretto a cedere” sottolinea Bhatia.
Va inoltre potenziata la conoscenza della varietà, sottolinea Michael Godel: “è fondamentale che il consumatore abbia idea di quale varietà stia bevendo; o, nel caso di regioni come il Chianti Classico o l’Aglianico del Vulture, è necessario che quel territorio venga distinto per la sua qualità rispetto ad altre regioni che producono vino dalla stessa varietà. Il consumatore deve essere educato al fatto che Chianti Classico uguale sangiovese uguale qualità“.
Sono già numerose strategie che le cantine italiane stanno usando nel mercato canadese: la formazione dei professionisti che poi a loro volta divulgheranno quanto appreso, le visite ai produttori durante le fiere, le cene con agenti e comunicatori.
Ma qualcosa’altro puà ancora essere fatto: “Una strategia interessante che ho visto ha avuto un ottimo successo – suggerisce Wilton – è la partnership con con i professionisti canadesi per educare direttamente lo staff del ristorante. Il CIVB lo sta facendo proprio ora con Michael Godel“.
Un’opportunità in più che potrebbe servire all’Italia per entrare in maniera sempre più incisiva in un mercato di importanza cruciale nel prossimo futuro.
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