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Vini naturali

[vc_row full_screen_section_height=”no”][vc_column][vc_column_text]Dopo aver affrontato il mondo dei vini biologici (qui il link al precedente post) non potevamo non affrontare l’altro grande fenomeno del momento, ovvero i vini naturali.

Termine-manifesto, l’espressione “vino naturale” appare per la prima volta nel 2008. L’aggettivo “naturale” – da sempre al centro della polemica che ne addita l’irregolarità visto che il vino è un prodotto sempre mediato dall’uomo – punta più ad una dichiarazione d’intenti, ad un valore connotativo più che denotativo.
“Naturale” andrebbe qui infatti letto come volontà di creare un prodotto immediato e che tale risulti, scevro di sovrastrutture per dirla alla Marx,  #nofilter  volendo usare la terminologia dei social.
E proprio i social sembrano offrire alcune chiavi di lettura per questo trend: l’hashtag  #naturalwine  è, infatti, il più utilizzato su Twitter per coprire non solo tale specifica categoria ma anche i vini biologici e i biodinamici.

Eric Asimov, firma storica del New York Times, nota in merito la sempre più frequente associazione dei vini naturali con il termine “lively”, “vivo/i” ad indicare come questa tipologia sembri rompere certe barriere mentali che per anni hanno preservato l’immagine del vino come status symbol, come prodotto ingessato, che necessitava di un’adeguata etichetta e servizio per la fruizione.
Col risultato che per lungo tempo certe categorie si sono tenute ben lontane dal vino, avvicinandosi invece ai cocktail e ai superalcolici.

Non è, dunque, un caso che i vini naturali spopolino proprio fra di loro, fra i giovani ma anche le fette di popolazione “alternative”, e che le categorie per valutarli – basti pensare a quelle proposte da Alice Feiring e Simon Woolf – risultino esulare parimenti dai soliti tracciati.

I criteri proposti dalla Feiring – che l’anno scorso ha presenziato il concorso per i vini naturali di Vinitaly, Wine Without Walls (qui il link in riferimento all’evento) – sono infatti valori soggettivi quali:
impatto emotivo, piacevolezza, trasparenza, equilibrio, senso del luogo e vitalità.

Altrettanto inusuali rispetto alle solite voci di giudizio risultano quelli proposti da Simon Woolf: equilibrio, palatabilità, carattere, purezza ma anche sfida-avventura.

Nel frattempo continua la discussione per inquadrare questi vini, che sembrano svincolarsi per partito preso dagli schemi rigidi e precostituiti dell’enologia classica.

Hugh Johnson, fra i maggiori scrittori di vino, in un recente articolo su Decanter propone di chiamarli vini alternativi (qui: http://www.decanter.com/wine-news/opinion/guest-blog/do-we-need-a-natural-wine-alternative-354172/) ma per ora la sua proposta non sembra essere stata accolta con entusiasmo né dai produttori né dai consumatori.


Ma che dimensioni ha il fenomeno dei vini naturali?

Difficile quantificarlo, soprattutto per la mancanza di una normativa in merito che ad oggi permette di fatto una certa nebulosità nell’utilizzo di tale definizione e quindi ne rende ardua la tracciabilità.
L’esigenza di una codifica sta portando ai primi risultati: da un lato la Francia si sta munendo di un regolamento, dall’altra l’Italia o meglio l’Associazione dei viticoltori naturali VinNatur che prima al mondo – per una volta il Belpaese precorre i tempi e si dimostra lungimirante e ricettivo – si è dotata di un disciplinare già lo scorso novembre ed ha voluto che le certificazioni, obbligatorie ogni anno e per tutti gli associati, vengano svolte da organi esterni.

A livello di valore se anche i dati puntuali rimangono nebulosi, qualche stima è tuttavia reperibile: Meininger.de rileva che in UK il mercato annuo dei vini naturali vale circa 8 milioni di euro, mentre per la Germania i dati disponibili relativamente al distributore specialista Vinaturel parlano di un fatturato annuo di 5 milioni di euro e di un tasso di crescita del +40-50%.

 

A livello di distribuzione sul territorio, si nota una tendenza generale, comune sia per gli UK che per gli US come pure per l’Europa, che rileva una maggiore prevalenza di vini naturali negli agglomerati urbani a più alta densità e che spiegherebbe il favore verso vini che intendono aprire in contesto urbano varchi verso esperienze più “naturali”.

 

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